Potenza 1 parte

Potenza 2 parte

Potenza 3 parte

Potenza 4 parte

Dedicata a delle mie amiche svigliane che seguono questo blog. L’ho scritta durante il periodo trascorso in Andalucia.

ANDALUCIA SOLO HAY UNA

Andalucia che illusione
Luogo d’amore e di sogno
Di colori e di ricordi
Di sevigliane, tori e donne.

Andalucia che tristezza
Luogo di rivendicazione
Di treni persi e di lamenti
Di sevigliane, tori e di donne.

Andalucia unica e sola
Sola con gli andalusi
Uomini di donne e birre
Di sole, poeti e cantanti.

Andalucia: solo c’è ne una
Altrove cambia nome

Andalucia solo c’è ne una
Due sarebbero troppe.

Andalucia solo hay una!

Alcune leggende del Natale in Basilicata / Lucania

La notte della vigilia di Natale una donna si recò alla fontana con il secchio per prendere l’acqua.Il mattino seguente al risveglio trovò una incredibile sorpresa, il secchio era pieno di olio e non di acqua.Il nonno, testimone di quel prodigio, prese a raccontare la leggenda di una povera mamma che alla vigilia di Natale voleva preparare le frittelle ai suoi sette figli, ma non aveva olio per friggerle.Si rivolse ai vicini e questi non vollero dargliene. La donna, mortificata, prese il
secchio e andò alla fontana del paese per prendere l’acqua e con grande sorpresa il secchio si riempì di olio…..
La Vergine allattava il suo Bambino e di latte ne aveva tanto che quando Gesù smetteva di poppare, spesso il latte continuava a fluire. Avvenne un giorno che, per distrazione della Madonna, una goccia cadesse per terra. Una rondine, più affamata delle altre prese quella goccia di latte nel becco e stava per inghiottirla. Ma ci ripensò e decise di consegnarla al Signore Iddio, cui apparteneva. Il Signore Iddio ringraziò la rondine. Poi raccolse la goccia nel cavo della mano, ci soffiò su e la lanciò nel cielo. Ed ecco subito formarsi una grande striscia bianca. E la striscia bianca si prolungò, seguendo la corsa della goccia, per tutto l’inverno. Era come un gran fiume di latte, formato da infinite gocce che poi sono le stelle. Lungo questo fiume, che unisce la terra al cielo, camminavano le anime dei morti per il Paradiso. E alla vigilia di Natale, ogni tavola viene apparecchiata con nove portate, quante sono, secondo la leggenda, le case alle quali bussò la Madonna prima di trovare asilo.

Albano di Lucania e le sue storie

Piazza San Pietro
La Piazza San Pietro è tappezzata di ossa. Circa 40 anni fa, hanno trovato il corpo di una fanciulla avvolto in un abito bianco, ma soltanto un operaio è stato testimone di quella apparizione fugace. Aveva appena tolto il coperchio della bara quando gli apparve a suo dire una Santa come se fosse viva e vestita a festa. Un attimo dopo quell’essere soprannaturale si volatilizzò. E allo spettatore apparve soltanto un’esile striscia di polvere grigia. Ai bordi della cassa giacevano un pettine e una bambola.
la Roccia dell’Ischio
Si narra che la Roccia dell’Ischio, un monolitico distante 1 Km. dal paese, custodisca un vitello d’oro, monete e tanti gioielli. La porta della spelonca, invisibile per tutto l’anno, si apre nell’attimo della consacrazione dell’ostia durante la notte di Natale e rimane aperta fino all’alba. Chi desidera impossessarsi del tesoro, deve sacrificare al diavolo la vita di “un’anima innocente”. Senza l’uccisione di un bambino, chi entra, rimane imprigionato e viene inghiottito nelle viscere della terra.
Rocca del Cappello
Sulla sponda sinistra del fiume Basento all’altezza di Albano, sull’orlo di un precipizio di fronte alle Dolomiti Lucane, torreggia un immane monolitico in arenaria alto più di 10 mt., sulla cui sommità poggia un’enorme masso che dà l’idea di un enorme cappello di fungo ombrelliforme, dal quale il monolitico prende il nome di “ROCCA DEL CAPPELLO”. Questi massi erratici sono i segni imperituri della venerazione di sassi radicata nella coscienza religiosa umana sin dall’età preistorica. Sul lato S.E. del monolitico è inciso un cerchio con ai lati due brevi scanalature a destra. Nell’area circostante sono presenti alcune grotte e mura di contenimento a secco, un sentiero da località Monticello discende fino al monolitico. Percorrendo tale sentiero, sulla sinistra si nota un monolitico alto 7 mt. detto “ROCCA MOLARIA”, e su uno dei suoi gradini è stilizzato un simbolo che sembra un fiore a 4 petali o una palmetta. Lungo tutto il sentiero vi sono 5 coppie di vasche scavate nella roccia, ricavate su due livelli e comunicanti mediante un foro. Infine al lato S.E. della Rocca del Cappello è scolpito un grande volto umano e sul fianco di un altro spuntone in arenaria levigato è inciso un segno di croce latina.
Presso la Rocca del Cappello è stato rinvenuto un monogramma inciso su una lastrina di pietra rossa, che potrebbe rappresentare il famoso “Nodo di Iside” (pezzo di stoffa annodato in modo particolare), che fu l’amuleto più diffuso tra gli antichi egizi.

Il castello di Cancellara e le su storie

Alcuni anziani raccontano che questo castello fosse più grande dell’attuale, che ad esso si univa una cinta muraria che racchiudeva il paese e che riusciva a difenderlo; non è inusuale che si sia conservato solo la dimora principale, mentre le altre superfici furono adibite ad abitazioni private. Si racconta che quando fu costruito il castello, l’architetto, ignoto, volle costruire ben 365 stanze, tante quanti i giorni dell’anno; forse perché così il barone poteva goderne la luce da ogni angolo. A proposito della luce vi è un aneddoto molto interessante; pare che ancora oggi, qualcuno conosce una stanza del castello dove non compare per niente la luce. Molti hanno tentato di illuminarla senza riuscirci. Altra leggenda è quella della stanza del tesoro: pare che ci fosse una stanza contenente un tesoro il cui pezzo pregiato fosse una chioccia d’ oro con i pulcini anch’ essi dorati. Come ogni castello anche quello di Cancellara pare avesse un passaggio segreto che sbucasse fuori dal centro abitato, si presuppone vicino la fiumara.

Irsina su Sereno variabile

SERENO VARIABILE
RAI
08.11.08
Video interessante, pieno di spunti su di un borgo lucano vicino Matera, IRSINA.
Si accenna alle opere d’arti presenti nell’antica cattedrale, del Pizzicantò , dei Bottini, sistema antico di acquedotto a servizio della comunità e di un progetto che prevede l’acquisto di case del centro storico da parte inglesi, irlandesi e statunitensi.

http://www.youtube.com/watch?v=9mfQdbB6ciU&feature=related

Palla a due

PALLA A DUE
Due al centro del cerchio.
Gli altri otto intorno.
Tutto è pronto.
Tutti pronti a schizzare in alto, a scattare lateralmente o in avanti o a rincorrere qualcuno più abile e fortunato di lui che si sarebbe proiettato verso canestro.
Di là dal cerchio, oltre, fuori dal rettangolo, molti, tanti occhi attendevano di seguire ogni movimento, ogni smorfia.

Stava per iniziare una partita di basket, o pallacanestro.
A dir il vero, stava per dare il via, non una partita qualsiasi, ma alla partita.
L’incontro che avrebbe deciso l’intera sorte di una stagione.
La sfida che poteva significare l’apoteosi o la distruzione di un’intero gruppo e di tutte le persone coinvolte.
Le due squadre avevano avuto, fino a quel punto, un percorso strepitoso. Niente e nessuno sembrava reggere alla loro marcia inarrestabile. Le squadre avversarie cedevano una dopo l’altra. I giocatori avversari uscivano quasi sempre a capo chino consci della loro impotenza. Dopo ogni gara, i
giocatori vittoriosi si sentivano imbattibili, padroni del palazzetto e del mondo che li circondava.
Ora, da quel preciso momento in poi il regno si sarebbe consolidato o sgretolato.

La notte precedente non era stata una notte tranquilla.
L’adrenalina era diventata la padrona del corpo di ogni giocatore. La mattina sembrava non arrivare mai e a giorno inoltrato non si cercava altra compagnia che quella dei compagni di squadra.
Il pomeriggio dopo pranzo sembrava infinito e il borsone, lì pronto per essere prelevato, aspettava con ansia il momento della presa.
Si voleva essere già lì. Lì dentro il campo, per scacciar e respingere tutte le paure e le ansie e lasciare libero sfogo all’istinto, al talento, all’intelligenza, alla forza, all’agilità.
Si voleva essere dentro il campo, che si sarebbe trasformato nel solo luogo al mondo esistente, per liberare l’atleta. Per disincagliarlo dalle ansie dell’attesa di un confronto che si sapeva doveva arrivare ma che partita dopo partita, vittoria su vittoria diventata sempre più presente e assillante.
Unico modo per liberarsi da questo fardello era scaricarlo nel campo.
Varcato l’ingresso, linea che separava il mondo esterno dal palazzetto, il giocatore percepiva le responsabilità in tutta la sua gravità amplificata dall’attesa.
Negli spogliatoi il silenzio era l’unica cosa che i giocatori desideravano e le raccomandazioni e i consigli sembavano perdersi nel vuoto.
La mente era proiettata in avanti nel tempo e nello spazio. Nel momento successivo in cui l’arbitro avrebbe alzato la palla e il gioco avrebbe avuto inizio.

Le urla dei tifosi e i rimbombanti cori di incitamento, appena la squadra irrompeva nel campo, aumentava la velocità del sangue nelle vene. La testa di ogni giocatore seguiva un proprio percorso e i movimenti, i gesti, i rituali fatti fin allora, da anni, ogni domenica, ogni santa maledetta domenica, sembravano inopportuni e fuori luogo.
Si incitava i compagni ma soprattutto se stessi.
Si guardava l’arbitro, i compagni, l’allenatore.
Si cercava uno sguardo amico, si cercava sicurezza, ma ogni sguardo incrociato desiderava lo stesso.
Il pubblico ti chiedeva quello per cui lo avevi indotto a recarsi in quel posto, seduto tra quegli spalti in quel pomeriggio come ormai faceva ogni domenica da mesi.
Il pubblico voleva una sola cosa, la tua vittoria, la vittoria della sua squadra.
Non era lì per veder vincer la loro squadra o assistere allo spettacolo dello sport, era lì per veder vincere se stesso. Ognuno del pubblico si sentiva rappresentato da quei giocatori. Dalla palla in due in poi, ogni giocatore avrebbe rappresentato i volti, la voce di ogni spettatore.
Vincenti sarebbero stai portati in trionfo, pronti a godere degli applausi e dei sorrisi della gente o al contrario, perdenti, sarebbero stato considerati come dei Giuda che messi di fronte alla prova più importante avevano tradito se stessi e soprattutto chi aveva creduto in loro. Ma diversamente da Giuda non ci sarebbe stata possibilità di redenzione. Non esisteva una prova d’appello.
Di colpo, tutto nella testa scomparve e il nulla assorbì la mente dei giocatori.
L’arbitro aveva fischiato e la palla già roteava nell’aria.

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